Le Paste di Meliga, gli antichissimi e deliziosi frollini piemontesi, come spesso accade nella storia della gastronomia sono nati quasi per caso. Oggi Presidio Slow Food (quelle prodotte dai soci del “Consorzio delle Paste di Meliga del Monregalese”) e molto apprezzati da palati alla ricerca di sapori autentici e tradizionali, le paste di meliga sono nate per necessità dopo un cattivo raccolto che aveva fatto salire alle stelle il prezzo della farina 00.
Secondi gli storici le origini di questo biscotto sono antichissime, anche se difficilmente databili, e risalenti alla cultura contadina della zona di Mondovì in provincia di Cuneo. I fornai, per far fronte all’aumento eccessivo del costo della farina, iniziarono a mescolarla con il fumetto di mais, ovvero la farina ricavata dal mais macinata finissima usata appositamente per i dolci e non per la polenta. In pratica, venivano prodotti con lo scarto della farina usata per fare la polenta.
Questa ricetta, improvvisata da mani esperte alla ricerca di una soluzione per far fronte a un momento di crisi, diede origine alle paste di meliga, un biscotto dal gusto friabile conferitogli proprio da questa particolare farina.
Le paste di meliga (chiamate in piemontese paste ‘d melia) vengono infatti realizzate con un mix di farina di frumento e farina di antico mais piemontese (melia o meira indica appunto il granoturco in piemontese) a cui vengono aggiunti pochi altri genuini ingredienti (burro, zucchero, miele, uova e scorza di limone).
Di forma tondeggiante o rettangolare, i deliziosi frollini che profumano di tradizione sono originari del Cuneese, ma oggi sono diffusi anche nel resto del Piemonte in particolare nel torinese nelle zone della Val Susa, Val Cenischia e Val Chisone.
Tradizionalmente questi biscotti venivano mangiati a fine pasto inzuppati in un buon bicchiere di Barolo, di vino passito, di moscato o di dolcetto. Oggi appartengono più al rito della merenda pomeridiana o della prima colazione piemontese.
Sembra anche che fossero i preferiti di Camillo Benso Conte di Cavour che era solito mangiarne due a fine pasto con un bicchiere di Barolo chinato.
Un lungo viaggio per un biscotto di cui, una volta provato, difficilmente si può fare a meno.